L’uomo abita sempre: generatività e cohousing

Thoreau ci ha insegnato molto. Anche a distanza di oltre un secolo, i suoi libri rappresentano per antonomasia un inno al ritorno alla natura, per arrivare dritti al cuore smarrito delle cose.
«Gli uomini faticano perché vittime di un abbaglio. Io credo che potremmo avere molta più fiducia di quanta ne abbiamo. E potremmo liberarci dall’apprensione per noi stessi se ci donassimo sinceramente all’altro», scrive nel suo noto libro “Walden”.
Una pandemia globale rompe ogni convinzione, ogni consuetudine. Per forza di cose, mette in crisi la nostra ansia da forma, da risultato.
Quello a cui stiamo assistendo è il grido esasperato di una necessità di cambiamento. La pandemia riguarda tutti perché tutti abbiamo contribuito con ogni azione e pensiero a far sì che accadesse.
È stato un risveglio brusco dal torpore dell’indifferenza, verso l’altro ma anche verso noi stessi.
Elena Granata, architetto e urbanista, nel suo libro “Biodivercity. Città aperte, creative e sostenibili che cambiano il mondo” suggerisce di partire dalla città, per compiere il primo passo di autocritica e consapevolezza. Perché ad oggi le città consumano il 75% delle risorse naturali, e proprio per questo sono i laboratori possibili per ripensare un cambiamento ecologico, che si traduca in cambiamento di paesaggio, di raccordo città-campagna, di rammendi di spazi e comunità.
Negli ultimi 6 mesi abbiamo assistito certamente ad una notevole capacità di mobilitazione di una comunità, al sentimento di una comunità. Abbiamo iniziato a sentire che l’altro ci riguarda.
I media continuano a rimbalzare quotidianamente la parola trasformazione, senza tuttavia una chiara collocazione, senza la riconquista di un significato. Alcuni stanno provando ad associare un aggettivo che qualifichi questa trasformazione, facendola diventare generativa.
«Gli esseri umani vivono nel mondo abitando», afferma Carla Danani, docente di Filosofia dell’abitare al Politecnico di Milano, nel libro “Abitanti, di passaggio”.
L’esistenza dunque si svolge in intimità con lo spazio, oltre che con il tempo. Osando strade nuove, si può tentare un cambio di paradigma che trova proprio nell’abitare il suo fulcro.
Negli ultimi decenni ci siamo convinti che dovessimo iperspecializzare ogni operazione umana; è stata questa la modalità secondo cui abbiamo generato uno sviluppo materiale significativo, a discapito di molte dimensioni umane. Tra cui senza dubbio l’abitare.
Abbiamo ridotto la nostra casa ad alloggio, ma l’uomo non è un animale che vive in una tana, né tantomeno un accessorio che sta in un cassetto.
«La casa ha a che fare con ciò che si è, e ciò che si è ha sempre un legame con altri», asserisce Johnny Dotti, pedagogista, imprenditore sociale e presidente di è.one - abitareègenerativo.
Dotti esorta una trasformazione positiva della società ripartendo dalle forme dell’abitare, perché hanno a che fare con la quotidianità, con ciò che facciamo. E associa all’abitare l’aggettivo “generativo”, che si traduce nel recupero di una traccia profonda che provi a sfidare la nostra libertà su un piano più alto, più solidale.
In questo dialogo a più voci, il filosofo Silvano Petrosino ci rammenta di non cadere nella trappola di un grande equivoco, quello che fa coincidere l’abitare con la casa. Abitare coincide con l’esistenza stessa dell’uomo, non con la casa. Perché abitare significa coltivare, custodire, creare, elaborare e soprattutto prendersi cura. E perché la staticità fisica della casa è accompagnata dalla dinamicità di ciò che in essa svolgiamo: relazioni, conversazioni, vissuti, esperienze.
«L’uomo abita sempre, informa sempre lo spazio trasformandolo in luogo», aggiunge Petrosino.
Allora dobbiamo provare a creare una relazione tra le nostre case, e mettere in relazione le nostre case con il quartiere, con la città. Dobbiamo riconsiderare un abitare non più separativo, dobbiamo superare la frantumazione, sciogliere la solitudine.
Negli ultimi anni è nato un network di persone e competenze che si sono unite per promuovere la cultura della generatività e liberare energie positive per il nostro Paese. Lo hanno chiamato Generatività.it.
Più di 100 storie di uomini e donne, imprese, associazioni e istituzioni capaci di ispirare e promuovere un nuovo sviluppo, una nuova concezione dell’abitare che genera relazioni e legami duraturi, che favorisce la famiglia, include il lavoro in tutte le sue forme, che fa spazio alla cura, ai figli, agli anziani, alle fragilità. L’abitare che si nutre di cultura e bellezza.
A questa corale si è unita anche Cohousing.it (dall’inglese co-abitare), la community italiana dell’abitare collaborativo: decine di migliaia di famiglie che privilegiano i rapporti di buon vicinato e scelgono di vivere in un contesto aperto, in complessi abitativi composti da alloggi privati corredati da spazi comuni destinati alla condivisione. Perché si incoraggi la socialità, perché si riduca la complessità della vita, per ridurre i costi di gestione delle attività quotidiane. E per condividere una tazza calda, il contenuto di un libro, la scoperta di un nuovo album musicale, una torta, un albero di Natale.
All’interno della community si racconta di un progetto realizzato a Milano quasi 10 anni fa che ha rigenerato una ex fabbrica di tappi diventata oggi una bellissima residenza in cohousing per 32 famiglie, con 200 mq di spazi comuni coperti. È stato uno dei primi esperimenti di grande successo.
Il Villaggio Solidale di Mirano (VE) è un’altra realtà che sta sperimentando una nuova forma di abitare. Ha recuperato un’antica corte rurale che coinvolge circa 100 persone di tutte le fasce di età. Il valore aggiunto è che offre accoglienza temporanea a persone che vivono situazioni di difficoltà socioeconomica, di fragilità ed esclusione sociale, anziani, famiglie, mamme sole con figli, persone con disagio psicofisico e con lavoro temporaneo che provengono da altre città alla ricerca di un contesto abitativo accogliente.
Nel nostro territorio sta muovendo i primi passi il progetto BACO - Coabitare al sud, nato per promuovere e facilitare la divulgazione di buone pratiche legate all’abitare collaborativo attraverso la condivisione di competenze e la costituzione di una rete.
Intorno a Torino è stato presentato di recente dall’Associazione CoAbitare, in collaborazione con la cooperativa Sumisura, un progetto di Cohousing in un’antica vigna del Settecento situata nel bosco di Reaglie, che si pone l’obiettivo di condurre un’esistenza immersa nella natura, prevedendo momenti di collaborazione e condivisione degli spazi e delle risorse.
In Danimarca queste intuizioni hanno iniziato a pulsare già negli anni Sessanta.
In Italia cominciano a diffondersi solo da qualche anno, forse perché i processi disgregativi del nucleo familiare sono arrivati tardi nel nostro Paese.
Il progetto dell’eco-quartiere Quattro Passi di Treviso nato nel 2011 è tra i più brillanti, soprattuto perché si è fatto promotore di un tema sociale, di un processo virtuoso. Ha una connotazione di stampo ecologico, che si basa sulla partecipazione, l’ecosostenibilità e la condivisione: incremento dei trasporti pubblici, recupero dell’acqua piovana, centralizzazione della produzione energetica e altri accorgimenti che rendono con pochi gesti le abitazioni più vicine al sistema naturale, e quindi più in sintonia con la natura.
Allora chiudiamo il cerchio tornando a Thoreau, filosofo, scrittore e poeta, che di questa pandemia avrebbe certamente saputo farne un’opportunità di crescita e riflessione.
«Non vi date troppa pena d’ottenere cose nuove. Rivoltate i vecchi abiti, ritornate agli amici. Le cose non cambiano, siamo noi che cambiamo».